La mia collaborazione con Ferro inizia nell’Aprile 2020 sul n.50, che segna un traguardo importante per questa bellissima rivista e per il quale ho illustrato anche la copertina. La trovate qui sotto insieme a un paio di disegni preparatori.
Ancora più in basso c’è il mio primo approccio al magazine, dove mi presento, con qualche parola e un paio di disegni di repertorio.
MOTO E MATITA
THE JUNKERS NASCE DA DUE GRANDI PASSIONI: QUELLA PER LE MOTO, EREDITATA, E QUELLA PER IL DISEGNO, INNATA. E, NON POTEVA MANCARE, IL TALENTO.
Negli anni ’60 Mario Bertoncin aveva un negozio di moto in Corso Vittorio Emanuele, a Roma.
Le moto erano la sua vita, le vendeva, le riparava, ci correva, e ogni tanto si faceva male. Una volta si stampò su un cancello e si ruppe tutte le costole. Si capisce, Mario non era un genitore qualsiasi, e poi non aveva paura di trasmettere la sua passione a suo figlio Gianpaolo. Anzi, lo portava a vedere le gare a Vallelunga, lo accompagnava dai concessionari per l’acquisto della moto; lo aiutava mentre in garage smadonnava smontando e rimontando qualche pezzo della sua moto. Gianpaolo eredita così questo grande amore per le moto, ma nel frattempo ha anche un’altra passione, disegna.
Da sempre: ha iniziato da bambino e poi ha continuato a farlo anche da adulto. Queste due passioni, moto e disegno, hanno segnato la sua vita e aperto la strada a una professione, dando il via a un progetto, The Junkers, in seguito a un episodio tragico. Ce lo racconta lui stesso.
“The Junkers nasce, anzi, esplode, con la morte di mio padre. In quel periodo ho buttato tutto all’aria. Facevo il grafico in uno studio di architettura e ingegneria e, ad esser sinceri, ne avevo le balle piene (Bukowski disse qualcosa sul fatto di alzarsi tutte le mattine, lavarsi, vestirsi, correre in ufficio per fare un lavoro che farà guadagnare soprattutto qualcun altro… ). Così mi sono licenziato e ho messo in piedi questa idea di disegnare motociclette per lavoro. Non è stato facile, ovviamente è iniziata e cresciuta molto lentamente. Poi però sono cominciate ad arrivare le soddisfazioni: prima i riscontri positivi, poi le commissioni, infine le richieste dall’altra parte del mondo. Di questa cosa ancora non mi capacito… E quando lo faccio, quando me ne capacito, ho la conferma che sto facendo un buon lavoro. Ho sempre avuto una predilezione per i mostri, i teschi e i freaks, cosa che non è affatto velata nei miei lavori. Ovviamente se mi viene commissionato un lavoro non ci schiaffo dentro un teschio, a meno che non mi venga richiesto, ma se disegno liberamente, chiamalo disegno creativo, disegno zen, scarabocchiare, doodling… o come vuoi, è probabile che alla fine mi ritrovi sul foglio un mostro, uno scheletro, un teschio o qualcosa di simile”.
“Ora buona parte del mio lavoro creativo riguarda le moto. Utilizzo carta e penna per gli schizzi e gli scarabocchi, ma il mio processo lavorativo è quasi esclusivamente digitale. Sperimento il più possibile nuove tecniche e talvolta nuovi stili. Lo faccio per curiosità, per non annoiarmi e anche per evitare situazioni che, alla lunga, diventerebbero stagnanti. Ritengo che per la crescita artistica e professionale sia fondamentale provare e sperimentare hardware, software, tecniche e stili”.
“Se da un lato il lavoro creativo è gratificante, divertente e spesso aiuta
a non impazzire (mai come ora che la pandemia ci costringe a casa e ci toglie tantissimo, chi fa un lavoro creativo è fortunato), dall’altro non è mai facile fare i conti con tutta la produzione di altri artisti, del presente e del passato, poiché le opere rimangono.
Sono convinto che non esista mai nulla di veramente nuovo. Se cerchi di combattere le influenze che ti arrivano da altri artisti puoi stare certo che perderai. La cosa più saggia è allinearsi con le altre tendenze e reinterpretarle, aprendo da lì nuove vie.
È così in architettura, nella progettazione delle auto e delle moto, in cucina e in letteratura. Una volta che hai compreso questo, sei un pezzo avanti. Dopo anni di esperienza non nego di combattere con questa cosa ogni giorno”.
Testo e disegni di Gianpaolo Bertoncin, dalla rubrica The Junkers sul n.50 di Ferro Magazine, di Aprile 2020.
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