LA TRIBÙ DELLA GUIDA SPERICOLATA

HANNO RADICI ANTICHE, SONO NATI NEL DOPOGUERRA, HANNO RAGGIUNTO L’APICE DI VIOLENZA E STRAVAGANZA NEGLI ANNI ’80. ANCHE LORO OGGI SONO INVECCHIATI (E GUIDANO LE AUTO).

Tutti conosciamo i Bosozoku, i ragazzi giapponesi che in sella a motociclette mostruose si sfidano facendo “cantare” i loro motori. Chi non ha mai visto quei mostri a due ruote, tanto improbabili quanto affascinanti?

Difficile entrare nella mentalità di questi ragazzi. Appartengono a una cultura lontanissima dalla nostra. Solo un esempio: a chi verrebbe in mente di realizzare un ferro con uno scarico lungo quattro metri, la sella a poltrona rosa con le frange e la carenatura che punta al cielo? Per non parlare delle macchine…

La tribù del tuono – Anni ’50: si sta uscendo dalla Seconda Guerra Mondiale, si è tutti malridotti, il Giappone tantissimo. L’epoca d’oro, l’Imperatore, lo sfarzo, nulla è rimasto di quella tradizione millenaria. Resta un grande spacco tra quell’epoca e la democrazia progressista. Si tenta il possibile per adeguarsi ai tempi moderni. Alcuni giapponesi ci riescono (volentieri o meno e a quale prezzo sono fatti loro, nonché un’altra storia), altri si rifiutano. Molti giovani rifiutano di omologarsi alle regole della società moderna dettate dall’Occidente. Non ci stanno proprio a farsi inquadrare nel Modello Americano. Allora che fanno i teenagers del Sol Levante? Si ribellano. Come? Ispirandosi agli indisciplinati, ai trasgressivi per eccellenza. Ai ribelli senza una causa. A James Dean, Marlon Brando, Elvis Presley. Sì, si ispirano ai ribelli americani, con una spruzzatina di Rockers inglesi (paradosso n.1).

Nascono così i Kaminari Zoku (la tribù del tuono) che possono considerarsi gli antenati dei Bōsōzoku. Alcuni adepti di queste bande di motociclisti sono kamikaze sopravvissuti agli orrori del conflitto, molti affetti da “sindrome da guerra” (quella che noi abbiamo imparato a conoscere dai film americani sul Vietnam, il PTSD, post-traumatic stress disorder) tornati in patria e dalla stessa patria abbandonati. Vi dice nulla? Stile di guida scellerato, quasi da suicidio, mezzi matti, abbigliamento stile pilota da caccia, anfibi, insegne militari sulle giacche e poi lo hachimaki, l’iconica fascia bianca che cinge la fronte… Il Vento Divino soffia di nuovo! In groppa a rombanti motociclette.

Bande fuori controllo – Chiaramente, come ogni sottocultura giovanile che si rispetti, anche questa tribù ha la propria musica. Le note di band come i Carol, vestiti di pelle nera e capelli impomatati da un chilo di brillantina, accompagnano le scorribande della nostra tribù motorizzata. Qui si potrebbe aprire un’ampia parentesi sulla musica e sui gruppi musicali giapponesi, semmai un’altra volta. Saltando la parte del percorso evolutivo che porta ai Bōsōzoku, ci ritroviamo negli anni ‘70 e ‘80. In quel periodo si contano centinaia di bande sparse per tutto il Giappone, per un ragguardevole totale di circa 42.000 teppisti. Siamo all’apice del fenomeno. La Yakuza attinge a piene mani da questo numeroso mucchio, per reclutare manodopera. La polizia è stufa di arrestarli, sono troppi, fanno troppo casino e non ci sono le telecamere ogni 5 metri come oggi, controllarli è difficile. Allora li tollerano, li tengono d’occhio, li arginano senza mai intervenire veramente. Durante le loro parate, addirittura li scortano.

Nasce la moda Bosozoku – I teppisti sono spesso affiancati da gang femminili capeggiate dalle Sukeban, ragazze sbandate che si affrontano a suon di catene, bastoni e lamette, indossando il fuku (la tipica uniforme scolastica alla marinara) estrosamente rivisitato nelle forme e nei colori, e sfoggiano improbabili acconciature coloratissime. Di sovente si tratta di disadattate, spesso dedite alla prostituzione e agli atti vandalici

Negli anni successivi si assiste al progressivo indebolimento del fenomeno. Ogni banda di giovani motociclisti viene etichettata col termine bōsōzoku. Diventa una moda (come tutto d’altronde, come sempre). Le risse con mazza da baseball sono sempre meno frequenti, gli adepti diminuiscono col passare degli anni. La polizia non li tollera quasi più, multandoli pesantemente e arrestandoli. Poi é pieno zeppo di telecamere a ogni angolo e far casino per le strade diventa un’impresa. Entrare nella banda è relativamente facile, uscirne é una rogna. Se esci devi presentare un nuovo membro che entri al posto tuo. Insomma essere un membro della gang comporta una serie di rotture di palle che chi te lo fa fare? Col nuovo secolo ci si mette pure la crisi. Le moto costano tanto, per non parlare delle modifiche. Per un pezzo aftermarket, tipo una marmitta lunga 4 metri, ci vuole una fortuna. Per una sella con le frange rosa shocking ti chiedono un occhio della testa. Ormai fare il ribelle costa una cifra, mica come ai tempi di Gioventù bruciata. E qui qualcosa non torna mica. Ma come? Ci si aspetterebbe che la recessione, la disoccupazione, l’aumento delle tasse, portino al rifiorire di una classe sociale di protesta come il bōsōzoku. “Prendiamo le mazze, saltiamo sulla moto e andiamo a spaccare tutto!”. Invece no (paradosso n.2). Sono solo problemi, beghe, costi alti. Perfino le uniformi sono troppo care, con i loro ricami bellissimi e i simboli imperiali. Le nuove reclute ora indossano spesso abiti economici e guidano scooter economici. I ribelli sul motorino. I poveracci della disubbidienza.

Sale l’età – Esistono ancora pochi ma apprezzabili tentativi di bōsōzoku classico, ma il più delle volte il bōsōzoku che fa danni e per il quale si richiede l’intervento della polizia, appartiene al nuovo segmento, quello povero. Si è perso lo spirito, la fiamma vacilla al vento della crisi e a quello della moda. Se prima l’età media era 16/20 anni, ora si alza notevolmente. Il tasso di natalità cala che è una meraviglia anche in Giappone, mica solo in Italia. Gli adolescenti invecchiano. Se prima si saltava in sella alle moto (ma solo perché impossibilitati a guidare le auto a causa della giovane età eh, mica per chissà quale passione per le due ruote) ora si comincia a posare le chiappe sul sedile delle macchine. Gli adolescenti invecchiano, si formano gruppi “alumni” di bōsōzoku, sì insomma degli ex-studenti ripuliti, quasi legali, chiamati Kyushakai. Le moto si impennano sempre meno, l’età media sempre più. Si va generalmente dai 20 ai 50 anni. Generalmente ci si dissocia dalle attività illegali, anche se rimane uno zoccolo duro che mantiene lo stile tradizionale e alcune “tradizioni”. Uno degli aspetti interessanti della discesa del bōsōzoku e dell’ascesa del kyushakai è il coinvolgimento delle donne. Spesso sono le fidanzate dei vecchi membri, diventate loro stesse motocicliste.

Meglio le auto… – Affrontare il discorso “macchine bōsōzoku” è piuttosto complicato e io sono il meno adatto per farlo. È un fenomeno relativamente giovane e si porta dietro una vagonata di riferimenti a diverse culture. Io vi butto lì una manciata di informazioni in ordine sparso, magari per qualcuno potrebbe essere lo spunto per approfondire il discorso.

Bene. Gli stili principali sono 7. Il primo su tutti è chiamato (guarda un po’) Bōsōzoku e racchiude tutti gli altri esagerandoli all’eccesso. È il più famoso e seguito. Le modifiche sono estreme e ricordano molto le silhouette racing car giapponesi. Poi c’è lo stile Yanky, a quanto pare mutuato da un famoso fumetto giapponese a tema automobilistico (Shakotan Boogie). Dall’Occidente deriva invece lo Shakotan, in pratica quelle che in America chiamano “stance” o “low car”, macchine bassissime ma tutto sommato sobrie. Poi c’è il Zokusha, che definirei un bosozoku addolcito e meno violento. Il VIP style è applicato di solito ad auto di lusso e sostanzialmente le abbassa e allarga. Le fa chiatte insomma… Ognuno ha i propri gusti. Quello che preferisco è il Grachan, macchine stile racing anni ‘60 e ‘70, modifiche pesanti ma sensate, grande attenzione alle prestazioni meccaniche. Infine il più gettonato, il Kyusha, nasce da una costola del Bōsōzoku ma ne prende le distanze, rifiutando qualsiasi rimando alla cultura “fuorilegge”. C’è quello classico e quello estremo. Non manca niente.

Ok, finito con gli stili. Ci sarebbero i sottostili, le sottocategorie, le differenze tra i piloti di Osaka e quelli di Kanto, i colori tradizionali, i minivan, le microcar. Da occidentali non si comprenderebbe veramente questa complessissima subcultura e, a ben vedere, sta proprio lì gran parte del fascino.

Una cosa è chiara però: i ribelli diventano establishment, se non lo erano già (paradosso n.3).


Testo e disegni di Gianpaolo Bertoncin, dalla rubrica The Junkers sul n.52 di Ferro Magazine, Luglio 2020.

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